
"Ex vite vita"
"La vita origina dalla vite"
Le origini della viticoltura romana hanno radici soprattutto autoctone, poi etrusche e in misura minore greche. L'Italia venne infatti definita da Sofocle (V sec. a.c.) "terra prediletta dal Dio Bacco". Diodoro Siculo sosteneva che la vite da noi cresceva spontaneamente e che non era stata importata da altri popoli. Essa era tenuta, dalle popolazioni autoctone, incolta, ossia allo stato selvatico. Anche Plinio riferisce che nei primi tempi di Roma esistevano viti non potate.
I Romani avevano una profonda conoscenza dei segreti della coltivazione e della vinificazione. Avevano appreso tali segreti da Etruschi, Greci e Cartaginesi e, proprio da questi ultimi, impararono a costruire aziende agricole razionali e capaci di produrre, con grandi guadagni. I Romani avevano il senso del business, tutto doveva essere organizzato e produttivo. Vennero così create piantagioni specializzate a conduzione schiavile, ove si coltivarono i grandi vini del passato. Tra questi, dall’omonima area della Campania, presto si distinse il vinum Falernum: il miracolo non fu solo opera dell’uomo, ma anche per i terreni alle pedici dei monti Petrino e Massico, un prezioso miscuglio mineralogico, con rocce ignee, calcaree e sedimentarie. I Romani furono capaci di creare terrazzamenti drenanti, in grado di conservare la giusta dose di umidità e calore, da cui produssero tre famose qualità di vino. Da uno di questi terrazzamenti antichi, alle pendici del Massico, proviene una delle più interessanti scoperte archeologiche, fatta negli ultimi anni del secolo scorso, che ha restituito le tracce fossili di un vigneto d’età imperiale. La scoperta, avvenuta nei lavori di sbancamento per la costruzione della strada Panoramica di Falciano del Massico, ha rivelato una serie di sulci (filari), in cui dovevano essere sistemate le viti per la produzione del Falerno. All’interno dei solchi, al momento della scoperta, furono rinvenuti solo frammenti di ceramica fine di produzione africana, tipica del mondo imperiale romano. Si tratta di 15 solchi paralleli, disposti a una distanza di circa m. 2,70 l’uno dall'altro.
“Ogni tanto è bene arrivare fino all’ebbrezza, non perché questa ci sommerga ma perché allenti la tensione che è in noi. L’ebbrezza scioglie le preoccupazioni, rimescola l’animo dal più profondo e, come guarisce da certe malattie, così guarisce anche dalla tristezza” (Seneca)
Il vino era parte essenziale di ogni banchetto, per lo più diluito con acqua calda ofredda, secondo i gusti e la stagione, e berlo puro non era considerato di buon gusto, sia perchè le cene abbondavano di brindisi e libagioni, sia perchè all'epoca erano maggiormente alcolici, sia perchè a volte si aromatizzava o dolcificava il vino in vari modi, anche se Plinio sosteneva la superiorità del vino senza aggiunte. La birra era conosciuta ma poco stimata. D'altronde il suolo italico
si chiamava allora Enotria, cioè terra dei vini. Il vino poteva essere Atrum (rosso) o Candidus ( bianco ) o Rosatum (rosato).
Il culto del vino, soppresso nei baccanali, riapparve negli ultimi anni della Repubblica con le feste viticole istituzionali, i Liberalia del 17 marzo per celebrare il dio Libero-Bacco, ed i Vinalia, festa del 19 agosto per propiziare la vendemmia.
Caiazzo è tra i comuni interessati alla produzione del vino Pallagrello e del Casavecchia